Il cambiamento in senso meritocratico della societa' non arrivera' dall'alto, ma dipendera' dalla volonta' di tanti nostri concittadini di farsi apertamente e trasparentemente Campioni del merito.


Azioni “positive” per valorizzare le migliori donne italiane

Anche nelle società meritocratiche più avanzate come gli USA e il Regno Unito la meritocrazia è incompiuta, dato che le migliori donne sono bloccate da quel “soffitto di vetro” che impedisce loro di realizzarsi secondo i propri meriti obbiettivi.

E’ inevitabile che in Italia, dove i valori del merito non esistono neanche per i maschi, la donna italiana sia ancora più discriminata, come dimostrano tutte le statistiche mondiali.

Il “familismo amorale” della società italiana ha aumentato quelle pressioni psicologiche sulla donna che esistono anche fuori dall’Italia e che da un lato la colpevolizzano come moglie e madre se cerca di realizzarsi professionalmente e dall’altro aumentano quelle insicurezze che inducono molte donne a pensare “sono la parte debole del cielo e devo subire, oppure devo fare il maschio”.

La quarta proposta contenuta in Meritocrazia illustra perché le donne italiane possono essere la vera “arma segreta della meritocrazia”. Rimuovere il “soffitto di vetro” per le migliori donne italiane è negli interessi della società ed economia italiana, non solo delle donne; ma è necessario un approccio molto diverso da quello delle attuali “quote rosa” della politica.

Che avere più donne italiane eccellenti al top sia un bene per la nostra società ed economia appare evidente osservando che in Italia abbiamo una spaventosa carenza di una classe dirigente qualificata e laureata e che tale carenza non può essere sanata con l’immigrazione, perché la nostra “bilancia dei cervelli” è spaventosamente negativa e la nostra immigrazione è costituita da preziosissime badanti ed infermiere rumene. Eppure il bacino di donne italiane laureate (e con voti mediamente migliori dei maschi) è ampio e totalmente sottosfruttato.

Non solo, ma ampie ricerche dimostrano che nel mondo dell’economia, ove la leadership è anche femminile, le imprese vanno meglio, crescono e guadagnano di più.

In Italia il problema comincia ad essere affrontato anche perché i soliti stimoli esterni (per esempio l’agenda di Lisbona) evidenziano lo spaventoso ritardo nella occupazione femminile.

Ma la maggioranza delle proposte di policies sono orientate ai “grandi numeri” (come avviene tipicamente per gli economisti): se più donne lavorano il PIL aumenta, e quindi si pensa a policies per detassare il lavoro femminile. Ma si dimentica che esiste una correlazione stretta tra la penetrazione del lavoro femminile e il numero di donne nella classe dirigente, e che senza agire sul “soffitto di vetro” succederà ben poco. La leadership è essenziale per “i grandi numeri”.

Per accelerare la presenza di donne italiane eccellenti al top si può agire su due leve: la prima - quella più in voga - è quella di migliorare il rapporto famiglia-lavoro( per esempio gli asili nido) e la seconda quella di azioni “positive” (“affirmative actions” all’estero) per dare un vantaggio temporaneo alle donne nell’accedere alla classe dirigente.

Malgrado le esperienze internazionali insegnino che la prima leva non serve senza la seconda, in Italia le azioni positive vengono osteggiate, spesso anche dalle stesse donne italiane, in parte perché si pensa subito alle “quote rosa” della politica italiana e in parte perché le migliori donne italiane non amano e non capiscono l’idea di avere vantaggi non meritati per promuovere la meritocrazia.

In Meritocrazia spiego perché questi timori sono ingiustificati. Le “azioni positive” all’estero hanno funzionato, perché danno un “acceleratore” temporaneo necessario, dato che la classe dirigente è oggi essenzialmente maschile e come tale si protrarrà per sempre se non succede qualcosa dall’esterno: in un team al top di 8 maschi il nono sarà con grande probabilità un maschio. Inoltre avere dei “role models” è essenziale perché le donne italiane si convincano che è possibile per una donna essere leader senza agire come un maschio e continuando ad essere moglie e madre. Questa convinzione si costruisce solo se le donne italiane vedono qualche donna leader che le convince che i forti pregiudizi in questo senso sono privi di fondamento.

In Meritocrazia descrivo una possibile “azione positiva” per accelerare la leadership femminile che potrebbe avere enorme impatto: una normativa simile a quella norvegese che prevede che il 40 per cento dei consiglieri di amministrazione di aziende quotate siano donne. L’impatto sarebbe enorme, dato che oggi l’Italia, con il 3 per cento di donne nei CdA, è di gran lunga il fanalino di coda, contro tre volte tante donne nei CdA europei e dieci volte in quelli scandinavi.

Di quel 3 per cento, la metà sono mogli, figlie e fidanzate dell’imprenditore di riferimento, fatto emblematico della poca meritocrazia esistente nella corporate governance e nell’azionariato italiano. Basterebbe che una norma, anche solo nei codici di comportamento dei CdA, indicasse che entro tre anni il 40 per cento dei consiglieri indipendenti debbono essere donne per rivoluzionare i CdA italiani ed aggiungere quella qualità ed indipendenza morale che oggi è spesso carente.

La norma non deve essere eterna e può essere eliminata quando esisterà una massa critica di donne eccellenti nei CdA italiani.

La differenza tra questa proposta e le “quote rosa” della politica è evidente. Promuovere donne eccellenti nei partiti è difficile dato che la meritocrazia non esiste neanche tra i politici uomini. Partire dal mondo delle imprese garantirà più rispetto delle regole ed un impatto immediato e visibile.

Roger Abravanel

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